L’Italia e l’approccio (Nord)coreano al coronavirus

Kim Jong Conte

Pur vivendo in condizione di estrema povertà, gli abitanti della Corea del Nord sono indotti a credere dal regime che il loro Paese sia un’oasi di pace e benessere circondata da un deserto di sofferenze. In Italia, al momento dell’esplosione della crisi covid-19, si è deciso di ignorare l’efficace metodo sudcoreano di contrasto all’epidemia per adottare quello nordcoreano di mistificazione della realtà. Anch’esso, a dire il vero, piuttosto efficace.

Un mese e mezzo fa l’emergenza deflagrava. Giorno dopo giorno il contagio si diffondeva inarrestabile, gli ospedali collassavano, le morti crescevano con numeri terrificanti ma qualcosa di incredibile capitava: Il mondo, terrorizzato, guardava con ammirazione alla nostra impeccabile opera di contrasto all’epidemia. Era nato il “modello italiano”, versione sanitaria del marchio “made in italy”, ugualmente destinato a essere oggetto di invidie ed emulazioni estere. Certo, per i mass media stranieri il nostro modello era tale in quanto evidenziava gli errori che non si sarebbero dovuti ripetere ma ciò, suvvia, era un dettaglio. A un certo punto siamo persino arrivati a commiserare gli altri Stati che, poveracci, erano guidati da mezze seghe come Merkel, Johnson, Macron, Trump. Immaginate, andavano in tv per dire ai loro concittadini che presto vi sarebbero stati terribili lutti e sofferenze. Tutt’altra flemma il nostro Leader. Sebbene qui lutti e sofferenze fossero peggiori, Lui non ne faceva cenno. Al contrario, ci invitata a cantare l’inno nazionale, assicurandoci che insieme ce l’avremmo fatta e, se fossimo restati distanti, presto ci saremmo riabbracciati. Va detto che il prodigio del “modello italiano” non sarebbe stato possibile senza la mobilitazione del popolo. Dalle Alpi alla Sicilia, dal Tirreno allo Ionio, da questo a quello, migliaia di patrioti, raccogliendo i vibranti appelli al canto e alla trincea da salotto, trasformavano i loro balconi in avamposti di difesa contro il contagio subdolamente propagato da runner, anziani alla ricerca di un po’ di sole e madri con passeggini. Chi non poteva sostenere la fatica e la tensione dei turni di guardia al terzo piano condominiale, contribuiva alla sforzo collettivo decorando le facciate dei palazzi con ashtag, unicorni e arcobaleni. Sarebbe andato tutto bene e se tutti l’avessimo scritto a pennarello sui cartelloni tutto sarebbe sicuramente andato bene.

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Ventimila bare dopo, il “modello italiano” non ha perso nulla della sua efficacia. Anzi! Mentre quegli sprovveduti degli altri Paesi hanno già messo in calendario le riaperture noi ci prendiamo tutto il tempo per valutare, ponderare e, se poi proprio si deve, prendere una decisione. Forse, magari, eventualmente. Nel frattempo, è notizia di pochi giorni fa, l’Italia, con un colpo di reni degno dello Zoff 1982, ha conquistato la testa della classifica mondiale di previsione del crollo dei PIL. Il che, unito ai parsimoniosi e oculati interventi di sostegno all’economia nazionale (non come quelli di altri stati spendaccioni), ci mostra che il “modello italiano”, lungi dall’essere applicabile unicamente all’ambito sanitario, dipana i suoi virtuosi effetti anche in campo economico. Oggi è un giorno bellissimo e non abbiamo nulla di cui preoccuparci perché già lo sappiamo: andrà tutto bene.  

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