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Italia, una sfida silenziosa: bisogna ascoltare i bisogni dei minori.

Nel cuore di una società che invecchia rapidamente, si fa largo una domanda urgente e ancora troppo trascurata: quanto l’Italia è davvero capace di ascoltare i bambini e gli adolescenti? Il prossimo 9 aprile si celebrerà per la prima volta la Giornata nazionale dell’ascolto dei minori, istituita lo scorso anno dal Parlamento. Un’occasione simbolica, ma anche una necessità concreta per accendere i riflettori su un diritto spesso ignorato: quello dei più giovani a essere ascoltati e considerati nelle decisioni che li riguardano.

Il diritto all’ascolto è uno dei quattro pilastri sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Non si tratta di semplice retorica, ma di un principio che impone agli adulti – genitori, insegnanti, decisori pubblici – di tenere conto dell’opinione dei bambini, in proporzione alla loro età e maturità.

Eppure, i dati elaborati da Fondazione Openpolis mostrano un quadro diverso. Al crescere dell’età, i giovani italiani si sentono sempre meno ascoltati. Secondo l’ultima indagine HBSC dell’Istituto superiore di sanità, solo il 35,4% dei 15enni ritiene che i propri insegnanti si interessino davvero a loro, mentre tra gli 11enni la quota è ancora superiore al 60%.

Il calo dell’ascolto parte dalle mura domestiche. Col passare degli anni, infatti, diventa più difficile per i ragazzi aprirsi con i propri genitori, soprattutto per le ragazze. Le madri restano figure più accessibili rispetto ai padri, ma il dialogo familiare sembra farsi più fragile man mano che si entra nell’adolescenza.

Anche a scuola, la percezione del sostegno da parte degli adulti si riduce con l’età. Se tra gli 11enni l’85,7% si sente accettato dagli insegnanti, tra i 15enni questa quota scende al 61,8%. Ancor più drastico è il crollo della fiducia nell’interesse degli adulti: solo un terzo dei 15enni si sente davvero ascoltato in classe.

Non va meglio nei rapporti tra pari. La fiducia e la gentilezza tra coetanei calano bruscamente a 13 anni, per poi risalire solo in parte a 15. Una dinamica che riflette le difficoltà emotive e relazionali tipiche di questa fascia d’età, ma che sottolinea anche quanto sia complesso trovare spazi sicuri e accoglienti per esprimersi.

La distanza tra giovani e politica è ancora più marcata (come non potrebbe essere altrimenti con lo schifo che si vede ogni giorno soltanto in Sardegna). Un quarto dei ragazzi in Italia dichiara di non aver mai provato a contattare un decisore politico perché convinto che la propria voce non sarebbe stata ascoltata. Il 31% ritiene che sarebbe inutile, mentre solo il 7% ha effettivamente contattato un rappresentante politico.

Nonostante ciò, i giovani italiani mostrano un certo attivismo: il 21% ha firmato o promosso una petizione, e il 14% ha partecipato ad associazioni giovanili, superando la media europea.

Il diritto all’ascolto non è solo un principio astratto. In un’Italia in cui i minori sono sempre meno – il 6,7% in meno dal 2019 – si tratta anche di una questione demografica e sociale. Tra il 2019 e il 2024, la popolazione under 18 è scesa da 9,6 a 8,9 milioni. Una diminuzione che ha colpito il 98% dei comuni italiani, con picchi oltre il 10% in regioni come Sardegna e Basilicata.

Oggi, per ogni under 14 ci sono due over 65. Un rapporto che si è invertito radicalmente in vent’anni e che pone interrogativi urgenti sulla sostenibilità sociale ed economica del nostro Paese.