Il NextGenerationEU a un anno dalla fine: il 68% delle scadenze non è ancora completato.
Mentre il Parlamento Europeo spinge per superare il limite temporale del 2026 per completare i piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr), la Commissione Europea mantiene una posizione ferma: nessuna proroga. Nel frattempo, gli Stati membri sono chiamati a rivedere radicalmente i propri piani per evitare di perdere ingenti fondi comunitari, anche accettando di dirottarne una parte verso settori come la difesa.
A poco più di un anno dalla conclusione ufficiale del programma Next Generation EU, il quadro che emerge dai dati aggiornati al 4 giugno 2025 è allarmante: il 68% delle scadenze europee non è ancora stato completato. Tra i Paesi più avanti figurano Francia, Danimarca e Germania, mentre l’Italia – pur non detenendo il primato – è tra i Paesi più attivi nelle revisioni del proprio piano, con cinque richieste già presentate e una sesta attesa per l’autunno.
Nonostante i progressi, il ritmo di spesa resta lento: a febbraio 2025 l’Italia aveva utilizzato solo un terzo delle risorse assegnate, sebbene negli ultimi mesi il governo abbia rivendicato lo sblocco della settima rata da 18,3 miliardi di euro e la richiesta dell’ottava, legata al completamento di 40 ulteriori milestone.
In una comunicazione dello scorso giugno, ricordano dalla Fondazione Openpolis, la Commissione europea ha ribadito che il termine del 31 agosto 2026 è inderogabile e che l’attuale ritmo di attuazione non è sufficiente a garantire il completamento di tutti i progetti entro la scadenza.
Per evitare perdite economiche, Bruxelles invita gli Stati a rivedere i Pnrr concentrandosi sulle misure realizzabili entro i termini, potenziando quelle che mostrano performance positive e tagliando o rinviando quelle più in ritardo o meno realizzabili. Insomma, il fondo che doveva portare l’Ue lontano dalle rovine della pandemia finirà all’insegna della raffazzoneria, producendo, di fatto, risultati di scarso impatto e lontani dai “mirabolanti obiettivi” condivisi da Ursula e soci agli albori del lancio del programma.
Le iniziali ambizioni trasformative del Pnrr, con i suoi tre pilastri per ridurre i divari territoriali, di genere e generazionali, sembrano oggi subordinate a una gestione più pragmatica e stringente, orientata principalmente a evitare il fallimento del piano e la perdita delle risorse comunitarie.
Una delle novità più significative (ed emblematiche del processo) riguarda la possibilità di impiegare fondi inutilizzati del Pnrr nel programma europeo di difesa, un’opzione finora impensabile ma oggi proposta come leva per evitare disimpegni.
Insomma, le scadenze sono scadenze per la Commissione Ue ma per le armi tutto può andare in deroga.
Il rischio concreto è che, in questa corsa contro il tempo, settori strategici ma controversi come la difesa possano assorbire risorse in una logica di emergenza piuttosto che di sviluppo sostenibile.