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Il declino della partecipazione politica: l’astensionismo conferma il pessimo stato di salute della democrazia.

Il referendum italiano dell’8-9 giugno 2025 ha registrato un’affluenza alle urne tra le più basse della storia recente, con circa il 30% degli aventi diritto che si è recato ai seggi. Un dato che non può essere considerato un’eccezione, ma, bensì, la conferma di una tendenza in atto da oltre un decennio: la progressiva disaffezione degli italiani verso la politica, l’informazione politica e, soprattutto, le elezioni.

Negli ultimi dieci anni, l’astensionismo è aumentato in modo costante e preoccupante. Se nel 2013 l’affluenza alle elezioni politiche era stata del 75%, nel 2023 si è scesi al 65%. Anche alle elezioni europee del 2019 e alle amministrative del 2020 e 2021, l’affluenza è stata in calo, con punte del 50% in alcune città italiane. Il referendum del 2025, in breve, si inserisce perfettamente all’interno di questo scenario distopico per la democrazia rappresentativa.

Questo fenomeno, la crisi della partecipazione democratica, capace di andare ben oltre la questione numerica, fino a toccare la stessa legittimità del mandato politico. Quando solo una parte della popolazione partecipa alle elezioni, la classe dirigente che ne risulta non dovrebbe considerarsi pienamente legittimata. Un governo che rappresenta solo il 30% degli elettori, infatti, non può avere stessa forza e autorevolezza di uno che rappresenta il 70%. Eppure, la politica italiana sembra disinteressata da questa disconnessione tra istituzioni e cittadini, come ricordano le prime dichiarazioni a caldo dei principali esponenti politici italiani all’indomani del flop annunciato dell’ultimo referendum.

Le ragioni di questo disinteresse sono molteplici e ben note. In primo luogo, la crisi economica e sociale degli ultimi anni ha eroso la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La percezione di un sistema politico lontano dai problemi quotidiani ha alimentato il senso di impotenza e disillusione. In secondo luogo, l’informazione politica (ben foraggiata dal sistema dei contributi pubblici) è spesso superficiale, polarizzata e priva di contenuti, rendendo difficile per i cittadini orientarsi e formarsi un’opinione informata. Infine, la mancanza di alternative credibili e di proposte concrete ha spinto molti/e a ritenere (giustamente) che il voto sia inutile. E, guardando per esempio quanto sta accadendo in Sardegna con il “governo dei migliori” di Alessandra Todde e soci, quest’ultimo assunto è ben solido.

Si continua (e si continuerà) a vivere, dunque, in un sistema politico sempre più autoreferenziale, incapace di affrontare le sfide del presente e del futuro. Con l’aggravante, però, di una diffusa povertà economica e culturale che, di fatto, sta erodendo la competitività del Paese e la sua sostenibilità nei lustri a venire.

E una democrazia senza partecipazione è una democrazia destinata a soccombere.

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