Giovani, il CNEL lancia l’allarme: “Formazione insufficiente frena l’occupazione. Ancora 1,34 milioni di Neet in Italia. Diversi milioni gli inattivi”.
In Italia l’occupazione giovanile – complice la presenza di un pessimo paradigma legislativo sul fronte delle politiche giovanili e di istituzioni nazionali per i giovani atuoreferenziali e altamente politicizzate – continua a scontare pesanti ritardi, e la formazione gioca un ruolo chiave.
A ricordare questo desolante scenario il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), che nella guida “Il lavoro che cambia. A 55 anni dallo Statuto dei lavoratori” – pubblicata dal Il Sole 24 Ore – fotografa una realtà preoccupante: nel 2024 il 31% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non è coinvolto in alcun percorso educativo o formativo. Una percentuale ben superiore a quella registrata in Francia (17%), Spagna (14,9%) e Germania (10,5%).
A questo dato – in perfetta linea di continuità con quanto già rilevato negli anni precedenti – si affianca il fenomeno dei Neet – giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non partecipano a percorsi di formazione – che riguarda ancora circa 1,34 milioni di persone. Numero tra i più alti d’Europa. L’incidenza è particolarmente elevata nel Mezzogiorno, dove il fenomeno risulta più che doppio rispetto al Nord e persiste anche tra i laureati: 17,7% al Sud, contro il 12,7% del Centro e il 7,9% del Nord. Basterebbe, per darsi qualche spiegazione, analizzare le pessime politiche per i giovani nelle regioni del Sud Italia per capire l’aggravamento di questi dati.
In calo anche uno degli strumenti più utilizzati per l’inserimento lavorativo dei giovani: nei primi tre trimestri del 2024 i tirocini extracurriculari sono diminuiti del 4,7% rispetto allo stesso periodo del 2023.
Per il CNEL, questi dati evidenziano la necessità di rafforzare le politiche attive per il lavoro, migliorare i collegamenti tra scuola e impresa e ampliare l’offerta di formazione di qualità. Solo così si potrà offrire ai giovani italiani un accesso reale al mercato del lavoro e ridurre l’ampio divario con gli altri Paesi europei.
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