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Giovani e diritti, la Ghirra interroga i ministri Schillaci e Roccella sul registro della disforia di genere.

Si va verso la conclusione dei lavori per l’istituzione del “Registro della disforia di genere”, frutto dell’operato dei membri del Tavolo tecnico interministeriale, istituito nel maggio 2024 dai Ministeri della Salute e per le Pari Opportunità e la Famiglia, con l’obiettivo di definire protocolli e linee guida per l’accesso ai percorsi di affermazione di genere per giovani persone trans e non binarie.

Un registro che raccoglierebbe i dati non solo dei minori in trattamento con bloccanti della pubertà, ma anche degli adulti che intraprendono percorsi di terapia ormonale. Inoltre, un nuovo protocollo potrebbe obbligare gli adulti che avviano percorsi di affermazione di genere a sottoporsi a ben cinque visite psichiatriche obbligatorie.

Per questi motivi, insieme ai colleghi Grimaldi e Piccolotti, la deputata sarda Francesca Ghirra ha presentato un’interrogazione ai Ministri Schillaci e Roccella, per chiedere chiarimenti su questa iniziativa e per capire come intendano tutelare i diritti fondamentali delle persone che intraprendono un percorso di affermazione di genere.

“Se le notizie fossero confermate, si tratterebbe di un passo indietro di almeno dieci anni – spiega la Ghirra -. Le linee guida internazionali promosse dalla WPATH (World Professional Association for Transgender Health) e il protocollo “Standards of Care” offrono indicazioni precise per assistere le persone trans* in modo adeguato, rispettando i loro percorsi e le loro esigenze individuali. Inoltre – prosegue -, la stessa definizione di “disforia di genere” ripropone una retorica patologizzante su una condizione della sessualità che la comunità scientifica internazionale non considera più un disturbo o una patologia mentale”.

Il Registro nazionale, dunque, non si configurerebbe come un semplice strumento di raccolta dati, ma rischia di diventare una sorta di “banca centrale” della varianza di genere, con tutti i pericoli che ciò comporta in termini di privacy, stigma e accesso alle cure.

“L’introduzione delle cinque visite psichiatriche obbligatorie sembra essere più un tentativo di ostacolare e rallentare i percorsi di affermazione di genere, piuttosto che una reale esigenza di cura. Questo – conclude – rappresenta un tentativo di controllo istituzionale su percorsi che hanno lottato a lungo per emanciparsi dalla patologizzazione. Percorsi che dovrebbero essere tutelati e garantiti, ma che ora rischiano di essere minacciati da un governo retrogrado e oscurantista”.

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