Fondi Ue e corruzione: un equilibrio fragile tra cooperazione internazionale e rischio di sprechi.
L’Unione Europea si presenta da sempre come campione di trasparenza, buon governo e lotta alla corruzione. Tuttavia, la mappa dei flussi di denaro verso i Paesi partner solleva più di una domanda. Laddove Bruxelles investe miliardi in cooperazione internazionale, spesso si registrano punteggi bassissimi negli indici globali sulla percezione della corruzione.
Secondo l’ultimo rapporto di Transparency International, la Siria occupa la 177ª posizione su 180 Paesi. Nonostante il collasso istituzionale e le crescenti violenze settarie, la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha destinato circa 2,5 miliardi di euro al Governo provvisorio al terrorista al-Jolani. Un paradosso solo apparente: l’Ue punta a stabilizzare la regione e prevenire nuove ondate migratorie, ma il rischio che questi fondi alimentino violenze e reti di corruzione rimane elevato.
Situazione simile nella Repubblica Democratica del Congo, 163ª in classifica, dove Bruxelles finanzia progetti per la transizione verde e la tutela delle materie prime strategiche. In un contesto di conflitti armati e governance debole, le organizzazioni locali denunciano la dispersione di risorse e il rafforzamento di élite politiche già compromesse.
L’Azerbaigian (154° posto), partner energetico cruciale per diversificare le forniture di gas dopo la crisi ucraina, è un caso emblematico: il governo di Ilham Aliyev viene spesso accusato di repressione del dissenso e di pratiche clientelari. Ciononostante, Bruxelles ha siglato accordi per raddoppiare le importazioni di gas azero entro il 2027.
Anche Egitto (130° posto) e Algeria (107° posto) godono di rapporti privilegiati con l’Ue, soprattutto sul piano energetico. Nel caso algerino, osservatori segnalano che parte del combustibile fossile proveniente dalla Russia viene “ribrandizzato” e rivenduto al mercato europeo, un’operazione, più volte evidenziata dagli eurodeputati europei, che solleva ben pochi interrogativi etici sulla coerenza delle sanzioni europee.
Il nodo più delicato resta quello dell’Ucraina, destinataria di oltre 163 miliardi di euro (quasi 132 milioni di euro al giorno o meglio 5,5 milioni l’ora) in aiuti tra finanziamenti diretti, armi e sostegno macroeconomico. Nonostante la guerra e la necessità di sostenere Kiev, il Paese scivola al 105° posto della classifica di Transparency, in calo rispetto all’anno precedente. Una perdita di punteggio tutto sommato che non sorprende, come ricorda il recente tentativo del presidente (illegittimo dal 24 maggio 2024) Volodymyr Zelenskyy di eliminare le agenzie anti-corruzione nazionali.
La Tunisia, 92ª in classifica, completa il quadro: anche qui l’Ue ha incrementato i trasferimenti, in gran parte per contenere i flussi migratori verso il Mediterraneo centrale, ma senza ottenere garanzie significative sul rispetto dei diritti umani o sul rafforzamento dello Stato di diritto.
Insomma, l’Ue, mentre parla di diritti e valori, se vuole contare sul piano geopolitico deve sporcarsi le mani e investire anche in Paesi ad alto rischio di corruzione, ma la strategia di cooperazione internazionale sposata dalla “Commissione di Ursula” rischia di rivelarsi un boomerang, alimentando proprio quei sistemi di potere che l’Ue dice di voler combattere.
Il problema, in ultima analisi, non è solo quanto denaro l’Europa spende, ma come viene speso e chi ne controlla l’utilizzo. Senza una reale condizionalità legata a riforme istituzionali, i fondi rischiano di diventare benzina sul fuoco di regimi autoritari e reti clientelari.
foto Christophe Licoppe, European Union, 2022 Copyright Source: EC – Audiovisual Service
