Fine vita: la “democratica” Commissione europea alza le spalle davanti alle disparità tra cittadini dell’UE.
Mentre in Italia – e più precisamente in Toscana – si compie un passo storico nella regolamentazione del fine vita, dall’Europa arriva l’ennesima dimostrazione di quanto l’Unione sia lontana dall’essere davvero unità in materia di diritti civili e scelte fondamentali legate alla dignità umana.
Lo scorso 11 febbraio, la Regione Toscana, infatti, è diventata la prima in Italia ad approvare una legge che disciplina il diritto al suicidio medicalmente assistito, dando seguito a una proposta di legge di iniziativa popolare e colmando un vuoto normativo ormai intollerabile. Un vuoto che la Corte costituzionale aveva già denunciato nella storica sentenza 242 del 2019, riconoscendo – seppur in maniera limitata – il diritto all’autodeterminazione del paziente in condizioni irreversibili.
Legge, va rimarcato, figlia del progetto “Liberi tutti” dell’Associazione Luca Coscioni, nata con l’ambizione di garantire tempi certi per l’accesso al suicidio assistito, fissando entro 54 giorni tutti i passaggi della procedura.
Di fronte a questa realtà frammentata – dove alcuni Stati membri hanno adottato leggi avanzate sul fine vita e altri continuano a ignorare o a negare il diritto alla scelta – una legittima interrogazione è stata presentata alla Commissione europea da un gruppo di eurodeputati del gruppo S&D, intervenuti per chiedere conto delle disparità e delle possibili violazioni dell’articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sancisce il diritto alla protezione della salute.
La risposta della Commissione, arrivata ieri e affidata al Commissario Olivér Várhelyi, lascia, però, interdetti. Con tono burocratico e scollegato dalla realtà, si ribadisce che “la Commissione non ha una posizione sulla questione della morte assistita” e che “l’assistenza sanitaria, compresa quella ai pazienti terminali, rientra nelle competenze degli Stati membri”. Nessuna riflessione sulla disuguaglianza di trattamento tra cittadini europei, nessun tentativo di armonizzazione, nessuna visione politica o etica: solo un pilatesco scaricabarile.
In sostanza, mentre le istituzioni europee non esitano a legiferare su ogni aspetto della vita quotidiana – dal packaging degli alimenti alla lunghezza dei cetrioli – quando si tratta di scelte fondamentali, come la libertà di decidere sul proprio fine vita, preferiscono voltarsi dall’altra parte. Una reticenza che suona ancora più stridente se si considera la retorica altisonante con cui Bruxelles ama presentarsi come paladina globale dei diritti umani e della dignità.
L’assenza di una cornice europea in materia, di fatto, non è più tollerabile nel 2025. I cittadini europei non possono essere trattati in modo differente a seconda della latitudine in cui si ammalano o soffrono. L’Europa dei diritti non può continuare a essere una chimera a geometria variabile, utile solo nelle dichiarazioni solenni ma assente nei momenti in cui dovrebbe contare davvero.
E allora, la domanda è semplice: di che “Unione” stiamo parlando, se su una questione di dignità e libertà personale come il fine vita, ogni cittadino europeo è abbandonato alle scelte – o alle omissioni – del proprio governo nazionale, senza alcuna garanzia comune da parte di quella che si definisce, con sempre meno credibilità, la “democratica” Commissione europea?
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