Energia russa, Nord Stream e sovranità energetica: l’UE rilancia, ma resta il nodo delle dipendenze residue.
Con l’adozione della nuova “Tabella di marcia per porre fine alle importazioni di energia russa”, la Commissione europea cerca di chiudere un capitolo controverso e strategicamente fragile della sua politica energetica. Presentato il 6 maggio 2025 come prosecuzione del piano REPowerEU, il documento mira ad azzerare entro il 2027 l’acquisto di gas, petrolio e nucleare dalla Russia. Un obiettivo ambizioso, ma non privo di contraddizioni e interrogativi su realismo, fattibilità e coesione tra Stati membri.
Prima dell’invasione dell’Ucraina – ricorda un recente studio del Parlamento europeo realizzato dalla ricercatrice Agnieszka Widuto -, la Russia era il primo fornitore energetico dell’Unione: il 45% del gas e il 27% del petrolio consumati nei Paesi europei provenivano da Mosca. A distanza di tre anni dall’inizio della guerra, questi numeri si sono drasticamente ridotti (19% per il gas, 3% per il petrolio nel 2024), ma alcune dipendenze persistono, in particolare nel settore nucleare, con quote significative di uranio e servizi di arricchimento ancora legati alla Federazione russa.
La Commissione vuole ora imprimere l’ultimo colpo di acceleratore con un piano articolato in nove azioni, che include l’obbligo per gli Stati membri di elaborare piani nazionali di uscita dalle forniture russe, il rafforzamento del controllo sui contratti esistenti e futuri e il graduale divieto anche per quelli a breve termine. Il tutto sarà accompagnato da nuove proposte legislative attese per giugno 2025.
Il piano prevede anche una spinta alla diversificazione delle fonti: dall’elettrificazione all’idrogeno pulito, passando per biogas, biometano e un rafforzamento dell’iniziativa AggregateEU, che mira all’acquisto congiunto di gas. Sul fronte tecnologico, sarà lanciata anche una “Valle europea dei radioisotopi” per garantire la sicurezza nell’approvvigionamento medicale.
Tuttavia, gli analisti più attenti non nascondono il timore che la frammentazione delle strategie energetiche nazionali, la lentezza delle infrastrutture verdi e le pressioni geopolitiche internazionali possano rallentare o persino compromettere l’attuazione del piano. Alcuni Paesi membri, infatti, dipendono ancora in modo rilevante dal nucleare russo e non tutti mostrano lo stesso slancio nel recepire le direttive UE.
La questione Nord Stream resta simbolica e irrisolta. Il gasdotto Nord Stream 2, completato ma mai entrato in funzione, e Nord Stream 1, disattivato dopo misteriosi sabotaggi nel 2022, sono ormai abbandonati. Ma i loro resti nel Mar Baltico continuano a ricordare l’errore strategico di legarsi mani e piedi a Mosca. E il Parlamento europeo, già nel 2022, aveva chiesto a gran voce l’abbandono totale di entrambe le infrastrutture.
Il Parlamento europeo ha mantenuto una linea dura: ha chiesto sanzioni totali fin dal 2022 e, nel marzo 2025, ha ribadito la necessità di vietare o tassare le importazioni russe rimanenti, compreso l’uranio. Ma a Bruxelles serpeggia il timore che, nonostante i proclami, la reale indipendenza energetica resti ancora un miraggio.
Per molti osservatori, la nuova tabella di marcia è più un atto politico che un cambiamento strutturale immediato. La vera sfida sarà trasformare il disimpegno dalla Russia in un’occasione per rafforzare la competitività energetica dell’UE, senza ricadere in nuove dipendenze, ad esempio dalla Cina per le tecnologie verdi o da regimi instabili per nuove rotte di approvvigionamento.
In definitiva, l’Unione promette di diventare più sovrana e resiliente, ma il suo percorso resta disseminato di incognite geopolitiche, economiche e tecnologiche. E non è affatto scontato che tutti i Paesi membri abbiano davvero la volontà – e la capacità – di marciare nella stessa direzione, come sempre si è rilevato in Unione europea.
foto Sylvain Thomas European Union, 2012 Copyright Source: EC – Audiovisual Service