Europa

Difesa al 5% mentre l’Europa si spopola: verso l’accordo capestro con la NATO.

L’Europa si svuota, invecchia, fatica a restare competitiva sul piano economico e tecnologico. Eppure, in questo contesto di stagnazione demografica e debolezza industriale, la NATO si prepara a siglare un accordo storico per portare le spese per la difesa al 5% del PIL entro il 2035. Un salto senza precedenti, dettato dalle pressioni statunitensi (ormai stufi di spendere miliardi di euro per la difesa dell’Europa) e da una crescente instabilità internazionale, che metterà a dura prova i bilanci pubblici e la coesione sociale in molti Paesi europei.

Se, per esempio, l’ammontare del bilancio europeo degli ultimi 7 anni è stato pari a circa 1074 miliardi di euro, soltanto recentemente la Commissione di “Ursula e soci” ha messo sul piatto un piano di ben 800 miliardi di euro per il riarmo dell’Unione europea con il ReArm. Cifre che la dicono lunga sul momento storico per l’Europa e sulla fragilità del sistema sociale ed economico europeo.

Un piano che ha visto quasi tutti gli alleati NATO favorevoli, almeno formalmente. L’Italia, insieme al Regno Unito, ha avuto un ruolo decisivo nel definire la scadenza del 2035, senza tappe intermedie obbligatorie e con una clausola di revisione fissata per il 2029. Una mossa che consente flessibilità, ma che impone comunque una traiettoria chiara: aumentare in modo massiccio e strutturale le spese militari, in un’Europa dove la natalità crolla, i giovani emigrano e i sistemi di welfare sono sotto pressione.

Il nuovo obiettivo del 5% rappresenta più del doppio rispetto allo storico 2% fissato nel vertice di Newport (Galles) nel mese di settembre 2014 (rimasto per anni lettera morta) e solleva domande cruciali. In un’Europa che invecchia e perde terreno sul fronte dell’innovazione, destinare una tale quota del PIL alla spesa militare significa inevitabilmente tagliare altrove: scuola, sanità, ricerca e transizione ecologica. D’altronde, chi se ne fotte dalle parti della Commissione europea…

Un impegno vincolante che non ha mancato di allarmare i pochi “ancora capaci di ragionare in Europa” come la Spagna, dove il premier Pedro Sánchez ha definito il target “non solo irragionevole, ma controproducente”. In una lettera inviata al segretario generale della NATO, Mark Rutte, Madrid ha chiesto una deroga, segnalando che secondo le stime dei propri militari, il raggiungimento degli obiettivi di capacità si ottiene già con una spesa pari al 2,1% del PIL.

Nel dettaglio, l’intesa prevede che il 3,5% del PIL sia destinato alla difesa convenzionale – armi, mezzi, equipaggiamenti – mentre l’1,5% dovrebbe andare a una “sicurezza allargata”, comprendente infrastrutture strategiche, cybersicurezza, resilienza e minacce ibride.

Ma per molti Paesi, il vero scoglio è il 3,5% in spesa militare pura. In un’epoca di alta inflazione, stagnazione industriale e crisi demografica, far accettare ai cittadini un raddoppio delle spese belliche (mentre si tagliano i servizi sociali, già ai minimi storici in Paesi come l’Italia) sarà politicamente difficile ma non impossibile, non esistendo più una opinione pubblica critica e un sistema mediatico di servizio pubblico.

Senza contare che la pressione americana si fa sempre più sentire, come ricordano anche le recenti dichiarazioni del numero uno del Pentagono, Pete Hegseth. Secondo indiscrezioni, ancora, lo stesso Donald Trump, sempre più determinato a mostrarsi duro con gli alleati NATO “scrocconi”, potrebbe disertare il prossimo vertice dell’Aja se l’accordo per l’aumento della spesa militare non verrà finalizzato entro il fine settimana. Per evitare lo strappo, si valuta l’inserimento nel comunicato finale di una formula che affianchi all’obiettivo del 5% anche il concetto di “raggiungimento degli obiettivi di capacità”, così da lasciare margini di manovra ai Paesi più riluttanti.

Se l’intesa verrà formalizzata, sarà senza dubbio storica. Ma a quale prezzo? Il vecchio continente, già alle prese con una perdita di centralità geopolitica (ormai contesa da Cina e Stati Uniti), un declino demografico strutturale e un crescente divario tecnologico con Stati Uniti e Asia, si prepara a militarizzarsi come mai prima. In nome della sicurezza, ma con il rischio di sacrificare competitività, coesione sociale e futuro.

foto NATO