Consiglio Affari Esteri UE: nuove sanzioni alla Russia, svolta sulla difesa europea e stretta sull’accordo con Israele.
Giornata intensa per i ministri dell’Unione Europea riuniti al Consiglio Affari Esteri per discutere sui principali dossier di politica estera e sicurezza: Ucraina, Medio Oriente, Siria, difesa europea e libertà d’informazione.
Il vertice ha visto la partecipazione dei ministri della Difesa e degli Esteri degli Stati membri, confermando, di fatto, l’orientamento dell’UE verso un rafforzamento della sua autonomia strategica e una linea dura contro le violazioni (ovviamente secondo i soliti doppi standard europei) del diritto internazionale.
Il conflitto in Ucraina è stato il primo tema trattato, con l’ennesima conferma della priorità assegnata a un cessate il fuoco totale e incondizionato. Una richiesta, questa, che Kiev ha già accettato da oltre due mesi, ma alla quale Mosca continua a sottrarsi, secondo la narrazione Ue.
Secondo l’Alto Rappresentante UE, Kaja Kallas, infatti, “l’unica via percorribile è aumentare la pressione su Mosca affinché si sieda al tavolo in modo serio”. In quest’ottica, andando contro la logica (come ricorda la decisione dello stesso donald Trump di non procedere con nuove limitazioni economiche verso la Russia in questo delicato momento di negoziazioni) è stato approvato un nuovo pacchetto di sanzioni, il diciassettesimo contro Mosca.
I ministri hanno anche chiesto di accelerare sull’elaborazione del prossimo pacchetto, sottolineando che, in assenza di segnali concreti da parte del Cremlino, la pressione dovrà aumentare. Al centro del dibattito, il tetto al prezzo del petrolio, considerato uno degli strumenti più efficaci per fiaccare le risorse del fondo sovrano russo.
La riunione ha toccato anche il tema delle garanzie di sicurezza fornite all’Ucraina, con la volontà di rafforzare il coordinamento europeo in materia. Sul fronte della difesa, è stata confermata l’operatività della Rapid Deployment Capacity, una forza composta da 5.000 uomini pronta a intervenire in caso di crisi. L’obiettivo, spiegano fonti UE, è trasformare le ambizioni politiche in strumenti reali, anche attraverso acquisti congiunti e nuove soluzioni di finanziamento condiviso. Si tratta di una svolta che dovrebbe ricevere un ulteriore impulso al Consiglio europeo di giugno, alla vigilia del vertice NATO. Insomma, qualcuno vuole l’escalation in Ue. E’ innegabile.
Altrettanto accesa la discussione sul Medio Oriente. Il focus dei ministri Ue è stato sulla situazione umanitaria a Gaza, definita “catastrofica” dall’Alto Rappresentante. L’entità degli aiuti umanitari alla popolazione della Striscia, infatti, resta drammaticamente insufficiente rispetto ai bisogni sul terreno. Da qui l’intenzione di mettere pressione su Israele, con la revisione dell’articolo 2 dell’Accordo di Associazione UE-Israele, che vincola il partenariato al rispetto dei diritti umani. In parallelo, si è discusso della possibilità di sanzionare alcuni coloni israeliani, ma il provvedimento è stato bloccato da un solo Stato membro. Il messaggio che arriva da Bruxelles è chiaro: Israele deve rimuovere gli ostacoli all’accesso degli aiuti, perché salvare vite umane è la vera priorità.
Sul fronte siriano, l’UE ha deciso di revocare parzialmente le sanzioni economiche, mantenendo però in vigore quelle legate al regime di Assad e alle violazioni dei diritti fondamentali. La misura, ha precisato l’Alto Rappresentante, è reversibile e subordinata a progressi tangibili. “Non tutto è ideale in Siria”, ha dichiarato, “ma se non permettiamo alla popolazione di avere accesso ai servizi, a un reddito, a una speranza di stabilità, allora non potremo nemmeno intervenire efficacemente sui diritti umani e sulla prevenzione della radicalizzazione”. Bisogna, dunque, fare di necessità virtù e cooperare con i terroristi di Al Jolani, ex numero uno di Al Qaida in Siria e noto bombarolo.
Sempre in tema di Siria, è stato annunciato un pacchetto di aiuti da 18 milioni di euro per migliorare le condizioni nei campi dove si trovano ex combattenti di Da’esh e le loro famiglie, con l’intento di evitare nuove derive estremiste.
In un contesto internazionale sempre più frammentato e inquinato dalla propaganda (compresa quella della “democratica Unione europea), i ministri Ue hanno riaffermato (ovviamente solo a parole in assenza di un serio sostegno alla stampa indipendente in Europa) il suo appoggio al giornalismo. Ovviamente a quello mirato a esercitare pressione a fini propagandistici, come conferma l’annuncio dello stanziamento di 5,5 milioni di euro “per sostenere l’informazione libera nei Paesi vicini all’UE, in particolare nel Caucaso e in Asia centrale”. Ma per i ministri, la spesa è motivata in risposta strategica alla contrazione dei fondi statunitensi (il famigerato USAID) e punta a garantire continuità all’informazione in contesti dove l’accesso a notizie affidabili è spesso compromesso. Di sicuro la produzione di altrettanta disinformazione prodotta dai “media indipendenti finanziati dall’Ue” non gioverà in termini di pensiero critico.
Infine, nel corso della conferenza stampa conclusiva, l’Alto Rappresentante ha risposto a una serie di domande su Cina, coordinamento transatlantico e processo di allargamento, dichiarando che l’UE sta lavorando su una posizione comune su Pechino, che sarà discussa ufficialmente al prossimo Consiglio Affari Esteri.
Sulle sanzioni proposte dagli Stati Uniti, tra cui l’abbassamento del tetto al prezzo del petrolio a 30 dollari al barile, ha dichiarato poi che l’UE è favorevole a rafforzare la pressione su Mosca, ma che sarà fondamentale il coordinamento con Washington per rendere le misure realmente efficaci.
Sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, la Kallas ha poi confermato che sono in corso discussioni sull’apertura dei negoziati, ma ha evitato di fornire una tempistica precisa, sottolineando la complessità degli stessi e la necessità di superare eventuali resistenze da parte di alcuni Stati membri.
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