Cittadinanza e referendum: tra diritti fondamentali e strumentalizzazioni politiche.
Nel fine settimana dell’8 e 9 giugno, gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari. Uno di questi tocca un tema tanto tecnico quanto cruciale per il futuro sociale del Paese: l’accesso alla cittadinanza per cittadini stranieri. Il quesito propone di dimezzare da dieci a cinque anni il requisito minimo di residenza per ottenere la cittadinanza italiana per naturalizzazione. Un tema che, più che alimentare un dibattito fondato sui dati e sui diritti, è diventato oggetto di una polarizzazione politica carica di ambiguità.
Nel solo 2023, ricordano dalla Fondazione Openpolis, oltre 196mila cittadini extracomunitari hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Un dato che, di per sé, smonta l’equazione spesso suggerita tra immigrazione recente e concessione indiscriminata della cittadinanza. I principali Paesi di origine sono Albania, Marocco, Argentina e Brasile: realtà migratorie storiche o legate al fenomeno dei discendenti di italiani emigrati nel Novecento.
“Il referendum, tuttavia, sembra ignorare queste sfumature, riducendo la discussione sulla cittadinanza a un capitolo della questione migratoria. Eppure, la cittadinanza non riguarda i richiedenti asilo o i migranti irregolari, bensì persone che vivono stabilmente in Italia da anni e che spesso contribuiscono alla società, ma rimangono escluse da diritti fondamentali”, si legge nella nota di Openpolis.
Il dibattito referendario ha finito per essere oscurato da narrazioni che associano la riforma della cittadinanza a un presunto allentamento dei controlli migratori. È una forzatura. La proposta di dimezzare i tempi richiesti per la naturalizzazione riporterebbe semplicemente la normativa italiana al livello degli standard europei: in Francia, Germania e Paesi Bassi la soglia è già fissata a cinque anni.
Secondo il comitato promotore del referendum, circa 2,5 milioni di persone potrebbero beneficiare della riforma, comprese decine di migliaia di minori che acquisirebbero automaticamente la cittadinanza attraverso i genitori.
In un’Italia che conta oltre 5,4 milioni di cittadini stranieri residenti, la cittadinanza rappresenta un elemento di coesione e riconoscimento. Non è un premio, né una concessione arbitraria: è uno strumento per combattere l’esclusione sociale e per rafforzare l’appartenenza alla comunità nazionale.
Nel contesto scolastico, ad esempio, i dati mostrano che i minori con cittadinanza straniera partecipano meno all’istruzione prescolare rispetto ai coetanei italiani. L’accesso precoce al sistema educativo è uno dei principali fattori di inclusione e mobilità sociale. Ritardare o negare la cittadinanza significa, spesso, prolungare condizioni di marginalità.
Il referendum potrebbe essere un’opportunità per una riflessione seria sulla cittadinanza come fattore di stabilità, coesione e giustizia sociale. Ma la strumentalizzazione politica rischia di spostare l’attenzione su paure e semplificazioni, distorcendo il senso di un provvedimento che riguarda milioni di persone già parte integrante del tessuto sociale italiano.
foto di Ulrike Leone da Pixabay.com