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Caso decadenza Todde. Il Collegio di Garanzia revoca il mandato all’avvocato. Fercia: “Presidente non ha mai reso una dichiarazione di rendiconto giuridicamente valida”.

Il Collegio di Garanzia Elettorale, nella sua nuova composizione, ha deciso di revocare il mandato difensivo precedentemente conferito all’avv. prof. Riccardo Fercia. La decisione, presa a maggioranza, segna un punto cruciale nella gestione della difesa dell’Autorità, in relazione al procedimento sulla decadenza della Presidente Alessandra Todde. In particolare, l’ordinanza di decadenza, che avrebbe dovuto essere difesa dallo stesso avvocato, rimarrà ora priva di tutela legale in tutti i gradi di giudizio.

In una nota ufficiale, l’avv. Fercia ha comunicato oggi che, pur non essendo più incaricato di rappresentare il Collegio di Garanzia, ha comunque depositato, nella serata del 2 maggio 2025, un atto di intervento adesivo autonomo nel processo pendente davanti al Tribunale di Cagliari. In questo documento, l’avvocato ha spiegato le ragioni del suo voto favorevole all’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione nei confronti di Alessandra Todde, sottolineando come tale provvedimento non comporti la decadenza, ma si limiti esclusivamente a trasmettere la questione al Consiglio Regionale per le valutazioni di sua competenza.

Con l’abbandono del patrocinio da parte dell’avv. Fercia, il Collegio di Garanzia si trova ora senza un difensore, sia nel procedimento civile che nella causa davanti alla Corte Costituzionale, in quanto la sua attività difensiva è stata ufficialmente interrotta. La situazione pone, dunque, una nuova incognita sul proseguimento del processo, in quanto il Collegio dovrà affrontare le prossime fasi senza un legale incaricato.

In primo luogo, sottolinea Fercia, la presidente Todde, alla luce del fatto storico descritto nel provvedimento impugnato, che ha piena validità salvo querela di falso, ha depositato nel procedimento amministrativo una prima autocertificazione riguardante spese e contributi, allegando però il rendiconto di un soggetto terzo: il ‘Comitato elettorale del Movimento 5 Stelle’, che non è riconducibile né al candidato, né al partito nelle cui liste si era candidata.

La legge, reca il provvedimento depositato oggi da Fercia in riferimento al caso decadenza, stabilisce chiaramente che la dichiarazione deve essere accompagnata da un rendiconto, ossia dal “documento contabile che riporta le voci in entrata e in uscita in un determinato periodo”. Di conseguenza, allegare il rendiconto di un terzo non può ritenersi conforme ai requisiti legali. Questo punto emerge con chiarezza anche dalla lettura dell’articolo 14, comma 3, della legge n. 515 del 1993, che recita: “Le dichiarazioni e i rendiconti si considerano approvati qualora il Collegio non ne contesti la regolarità all’interessato entro centottanta giorni dalla ricezione”. In altre parole, spiega Fercia, la legge distingue nettamente tra ‘dichiarazioni’ e ‘rendiconti’, e una dichiarazione cui sia allegato un rendiconto di un altro soggetto è giuridicamente inesistente, poiché priva di uno degli elementi essenziali per il suo consolidamento al termine dei centottanta giorni.

La domanda sorge spontanea, dunque per il legale. “Come può essere considerata tacitamente approvata, dopo sei mesi, una dichiarazione corredata da un rendiconto che non appartiene al candidato? Un rendiconto che non permetta di ricostruire le entrate e le uscite di un candidato invalida giuridicamente l’intero binomio ‘dichiarazione-rendiconto’. Se il rendiconto è di un soggetto diverso dal candidato o dal partito di lista, non è in grado di adempiere al suo scopo, che è quello di garantire la trasparenza finanziaria nel processo elettorale, come chiarito dalla ratio della legge stessa”.

Pertanto, sostiene Fercia, il provvedimento in questione si configura come una violazione delle disposizioni dell’art. 15, commi 5 e 8, della legge n. 515, che prevede, tra le altre cose, la decadenza in caso di inosservanza dell’art. 7, comma 6, che è la norma contestata alla presidente Alessandra Todde. In sintesi, chi allega un rendiconto che non gli appartiene, di fatto, non presenta alcun rendiconto, precludendo così qualsiasi possibilità di controllo.

Per chiarire ulteriormente il concetto, Fercia poi utilizza l’esempio delle patenti di guida: “Immaginiamo che un comune indìca un concorso per la conduzione degli autobus cittadini, con l’obbligo di allegare alla domanda la patente di guida di tipo D, pena l’esclusione. Se un candidato senza patente D presenta domanda allegando la patente di un altro soggetto, autocertificata come conforme all’originale, la situazione sarebbe simile a quella descritta nel caso della Todde, che allega un rendiconto che non è il suo. D’altra parte, considerare ‘solo’ invalida (e quindi giuridicamente esistente), come sostiene anche il Pubblico Ministero, una dichiarazione che alleghi un rendiconto di un terzo significherebbe di fatto svuotare la norma di significato. In tal modo – prosegue -, si aprirebbe la possibilità di allegare qualsiasi documento, anche il numero di un fumetto come Topolino, magari con la storia del rendiconto di un personaggio come Zio Paperone candidato a presidente di Paperopoli, e contare sul paradossale consolidamento della propria posizione in virtù del decorso del termine previsto dalla legge”.

Il principio di trasparenza e di regolarità dei conti elettorali, insomma, non può essere aggirato da sotterfugi o da interpretazioni forzate.

Nel complicato intreccio giuridico che ruota attorno al procedimento di verifica dei rendiconti elettorali, sostiene ancora Fercia, emerge con chiarezza un dato sostanziale: le spese e i contributi individuali dell’attuale Presidente della Regione, Alessandra Todde, risultano a tutt’oggi non ricostruibili. Il motivo? Sono mescolati, senza possibilità di distinzione, con quelli riferiti all’intera campagna elettorale – non solo per la carica di Presidente, ma anche per il Consiglio regionale e perfino, come ammesso dal senatore Ettore Licheri, per l’intera coalizione del cosiddetto “Campo largo”.

Questa commistione, evidenziata anche nella delibera n. 1/2025/CSE della Corte dei conti, rende impossibile attribuire spese o contributi in modo diretto e personale alla sola candidata presidente. Il rendiconto allegato alla prima autocertificazione depositata da Alessandra Todde, infatti, è firmato non da un mandatario elettorale, figura obbligatoria per legge, ma dal tesoriere del Comitato elettorale, Emiliano Fenu. Un’anomalia formale e sostanziale secondo Fercia: il Comitato elettorale, come riconosciuto anche dal Pubblico Ministero, non è né un candidato né un partito di lista, e dunque non può sostituirsi al mandatario né assumerne le funzioni.

A ciò si aggiunge il dato, non secondario, che la prima dichiarazione – nella quale si affermava di aver sostenuto spese per oltre 90mila euro – è stata, ricorda Fercia, contraddetta dalla stessa Presidente della Regione. Nella seconda dichiarazione, infatti, Todde ha sostenuto l’esatto opposto ovvero di non aver ricevuto né speso nulla, avvalendosi di un modello semplificato previsto dalla legge per i casi di campagna a costo zero. Ma anche questa seconda dichiarazione si scontra con un ostacolo formale: sebbene legittimamente adottabile in certe circostanze, richiede comunque che eventuali spese siano sostenute esclusivamente dal partito di lista. Tuttavia, il Comitato elettorale che ha speso in suo nome non è, giuridicamente, quel partito.

Questo doppio binario dichiarativo, contraddittorio e inficiato da vizi insanabili, conduce a una conclusione netta secondo l’avvocato: la Presidente non ha mai reso una dichiarazione di rendiconto giuridicamente valida. La prima dichiarazione non è “sua”; la seconda, per ammissione implicita, è una smentita della prima e non riconduce i fondi a un soggetto legittimato. La conseguenza è l’inesistenza giuridica di entrambe.

Nel cuore dell’ordinanza-ingiunzione del Collegio di Garanzia, si chiarisce che non si contesta alla Presidente il mancato deposito “materiale” della dichiarazione – che avrebbe consentito una regolarizzazione mediante diffida e termine di 15 giorni – bensì l’anomalia sostanziale della dichiarazione stessa, viziata alla radice. Questa distinzione è stata ignorata da chi tenta di sostenere l’illegittimità dell’ordinanza, incluso il Pubblico Ministero, secondo il documento depositato da Fercia: quella che sottolinea come la contestazione mossa dal Collegio riguardi una dichiarazione formalmente presente, ma giuridicamente nulla.

Il Collegio non ha disposto alcuna misura definitiva né ha “sussunto” la violazione accertata in una delle fattispecie sanzionatorie previste dalla legge (decadenza inclusa): tale potere spetta, infatti, esclusivamente al Consiglio regionale, una volta che l’ordinanza sarà passata in giudicato. Ma il Collegio ha fatto ciò che gli competeva: accertare la violazione dell’art. 7, comma 6 della legge n. 515/1993, secondo cui la mancata presentazione valida della dichiarazione di spese e rendiconti costituisce un illecito grave.

A ben vedere, è proprio in questa cornice normativa che trova senso l’ormai celebre metafora del concorso per conducenti d’autobus, usata dall’avv. Riccardo Fercia: chi si presenta senza patente, o con la patente di un altro, non può dirsi in regola con le condizioni del bando. Analogamente, chi si candida a cariche pubbliche deve rendere conto delle proprie spese secondo regole precise e non sostituibili con certificazioni di soggetti terzi, per quanto “vicini” o “di coalizione”.