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Bruxelles bacchetta l’Italia su ambiente e governance societaria.

Non una, ma due procedure d’infrazione. La Commissione europea ha messo nel mirino l’Italia con un doppio richiamo formale su due fronti cruciali: la tutela ambientale e i diritti degli azionisti. Due dossier distinti, ma accomunati da una stessa diagnosi: il mancato rispetto delle direttive europee e una legislazione nazionale non all’altezza degli standard comunitari.

Il primo provvedimento riguarda il recepimento della direttiva sulle emissioni industriali (2010/75/UE), con particolare riferimento alla gestione dello stabilimento Acciaierie d’Italia (ex ILVA) di Taranto. Dopo la sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 25 giugno 2024, che ha bocciato la normativa italiana, Bruxelles ribadisce le proprie preoccupazioni: la legge italiana non considera in modo adeguato l’impatto sanitario delle emissioni, non include tutte le sostanze inquinanti nelle autorizzazioni e non prevede la sospensione immediata degli impianti pericolosi. Inoltre, l’ex polo siderurgico di Taranto continua a operare in violazione delle normative UE, con “gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente”.

Per questo la Commissione ha inviato una lettera complementare di costituzione in mora nel quadro della procedura INFR(2013)2177, concedendo al governo italiano due mesi di tempo per sanare le violazioni, pena un parere motivato e il possibile deferimento alla Corte.

Ma non finisce qui. Nella stessa giornata, l’Italia ha ricevuto un altro richiamo ufficiale: una nuova procedura di infrazione (INFR(2025)4004) per il non corretto recepimento della direttiva sui diritti degli azionisti di società quotate (2007/36/CE). In questo caso, la Commissione contesta il sistema previsto dalla normativa italiana, che limita la libertà degli azionisti di scegliere i propri rappresentanti alle assemblee generali, imponendo invece un “rappresentante designato” su base societaria. Una prassi che – secondo Bruxelles – viola il diritto degli azionisti a partecipare pienamente alla governance, compresa la facoltà di proporre nuove delibere su qualsiasi punto all’ordine del giorno.

Anche in questo caso, l’Italia avrà 60 giorni per rispondere e correggere le carenze, evitando l’aggravarsi del contenzioso con le istituzioni comunitarie.

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