Europa

Beni congelati della Banca centrale russa: al centro del dibattito europeo sul finanziamento alla ricostruzione ucraina.

A oltre tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina, uno dei nodi più delicati sul tavolo della comunità internazionale riguarda il futuro dei circa 260 miliardi di euro di beni della Banca centrale russa bloccati nelle giurisdizioni dei Paesi occidentali. Congelati pochi giorni dopo l’inizio dell’aggressione militare del 24 febbraio 2022, questi asset, come ricordato in un recente lavoro di indagine di Anna Caprile, rappresentano una delle misure sanzionatorie adottate dall’UE, dai Paesi del G7 e da altri alleati come l’Australia, nel tentativo di colpire al cuore il sistema finanziario di Mosca.

Circa 210 miliardi di euro di questi beni si trovano in Europa, bloccati in virtù del terzo pacchetto di sanzioni adottato dall’UE. Il restante è sotto controllo di Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Giappone. Con la guerra entrata nel suo quarto anno, cresce il consenso – tanto nella sfera politica quanto in quella accademica – attorno all’ipotesi di utilizzare questi fondi per contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina, il cui fabbisogno è stimato a oltre 500 miliardi di dollari. Un’idea che, seppur contestata per i suoi rischi giuridici e finanziari, poggia su basi di diritto internazionale, in particolare sulla dottrina delle contromisure statali, che legittima azioni straordinarie contro Stati responsabili di gravi violazioni delle norme internazionali.

In questo contesto, il G7 ha compiuto un primo passo concreto nell’ottobre 2024, raggiungendo un accordo sull’impiego delle entrate straordinarie (Extraordinary Revenues Accrued, ERA) generate dai beni bloccati per garantire il servizio e il rimborso di un prestito da 50 miliardi di dollari destinato all’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno già versato la loro parte — 20 miliardi di dollari — in un fondo fiduciario della Banca mondiale, mentre l’Unione europea ha approvato un prestito di 18,1 miliardi di euro nell’ambito dell’assistenza macrofinanziaria, con un meccanismo di cooperazione apposito per canalizzare le entrate ERA.

Il capitale principale dei beni russi congelati, tuttavia, resta intoccato, almeno per il momento. La discussione resta aperta e complessa, sia per i risvolti legali — come il rispetto della protezione sovrana degli asset statali — sia per le potenziali conseguenze sul sistema finanziario globale. La questione è tornata di stringente attualità anche in ambito europeo, complice il cambio di rotta della nuova amministrazione statunitense sul dossier russo, che ha spinto Paesi come Estonia e Polonia a rilanciare con forza l’ipotesi del sequestro diretto dei beni sovrani russi.

foto Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay.com