Associazionismo giovanile e informazione. Un rapporto travagliato.

L’associazionismo giovanile è un mondo variegato le cui attività raramente giungono all’attenzione del grande pubblico. Vuoi perché ritenute di rilevanza inferiore rispetto ad altre, vuoi perché da parte degli stessi operatori del settore non vi è la giusta sensibilità al riguardo. Un malinteso senso dell’informalità, infatti, spinge le organizzazioni giovanili a non tenere nella giusta considerazione l’importanza della comunicazione pubblica istituzionale realizzata attraverso i mass media.  

Abbiamo incontrato Michele Demontis, collaboratore di Sardegnagol e responsabile dell’ufficio stampa di TDM 2000, organizzazione che, da sempre, attribuisce grande importanza alla visibilità giornalista delle proprie attività.

Michele, da cosa nascono i problemi di visibilità massmediatica delle organizzazioni giovanili?

Principalmente dalla mancanza di una strategia generale nei rapporti con la stampa. Gli operatori partono dal presupposto che le attività giovanili non incontreranno l’interesse del grande pubblico e decidono a priori di non comunicare con i mezzi d’informazione.

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A questo riguardo, nell’epoca dei social e del web 2.0, ha ancora senso o utilità comparire in un articolo di giornale?

Assolutamente si. Certo, in se non è risolutore di nulla, ma rappresenta una testimonianza della serietà del proprio operato. Tutti sono capaci di postare un contenuto, non tutti appaiono in tv o nei giornali.

Quanto è complicato per un’organizzazione giovanile apparire sui giornali?

La cosa non è immediata ma neanche impossibile. Si tratta di avere costanza nell’inviare comunicati stampa elaborati secondo regole semplici ma imprescindibili. Da questo punto di vista, la gestione di un ufficio stampa è una straordinaria palestra giornalistica.

Qual è l’atteggiamento al riguardo da parte delle altre organizzazioni giovanili con cui hai a che fare?

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Trovo molta rassegnazione e, delle volte, pressapochismo. Qualche volta si fa il comunicato, qualche altra volta no. In generale manca la continuità nella comunicazione con la stampa, “perché tanto non pubblicheranno niente su di noi”.

Com’è la situazione all’estero?

La comunicazione è uno degli ambiti che maggiormente risente degli aspetti culturali. I rapporti con la stampa e con il mondo dell’informazione cambiano da Paese a Paese. Ciò premesso, possiamo affermare che la situazione all’estero è perfino peggiore rispetto a quella italiana.

In che senso?

Nel senso che prevale una sorta di eterno infantilismo per il quale attività e progetti sono “cose per giovani, fatte da giovani” che non interesseranno mai al grande pubblico. In altre parole una vera e propria auto ghettizzazione.

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Che consigli daresti a un’organizzazione che volesse ovviare a questo stato di cose?

Scegliete tra voi qualcuno che abbia piacere di scrivere, piazzatelo di fronte a un pc e fategli scrivere comunicati stampa per qualsiasi attività realizziate. È questione di tempo e i risultati arriveranno.

Ribaltando la prospettiva, come vedi la cosa dal punto di vista di un componente di una redazione che riceve i comunicati stampa?

Beh, ci capita spesso di ricevere comunicati stampa o, per meglio dire, presunti tali, assolutamente inutilizzabili perché troppo lunghi, contorti o perché richiedono un eccessivo lavoro di rielaborazione da parte del giornalista. Un comunicato stampa scritto con tutti i crismi è certamente un buon viatico per la pubblicazione.

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