Al Man di Nùoro la Project Room di Grimaldi.

Il MAN prosegue l’indagine sui linguaggi del XXI secolo inaugurando la prima di una serie di Project Room, un nuovo concept espositivo incentrato sull’universo estetico della contemporaneità. Il piano terra del museo sarà concepito come uno spazio poliedrico, capace di cambiare forma ad ogni progetto con l’obiettivo di farsi portavoce degli artisti di oggi e della loro visione del mondo.

Il primo appuntamento vede protagonista Massimo Grimaldi con la mostra Fading in, che propone una selezione di cinque reportage fotografici realizzati tra il 2010 e il 2021.

La poetica di Grimaldi si sviluppa in una costante tensione tra etica e estetica. L’artista ha elaborato una modalità di lavoro che prevede la collaborazione sistematica con EMERGENCY, associazione umanitaria nata con lo scopo di offrire sostegno medico gratuito alle vittime civili delle guerre e della povertà. Dal 2007 l’artista ha partecipato a diversi concorsi con progetti che prevedevano, in caso di vincita, la donazione della somma a EMERGENCY e la realizzazione di reportage in luoghi dove l’ONG è attiva. Il caso più eclatante risale al 2009, quando Grimaldi vince il concorso internazionale MAXXI 2per100 con un progetto che stabiliva di devolvere il 92% del premio di 700.000 euro a EMERGENCY per la costruzione del Centro Pediatrico di Port Sudan e di documentare l’attività dell’ospedale, dalla sua costruzione fino alla piena operatività. Un approccio che testimonia come Grimaldi rifletta sulla società e intervenga su di essa, ridiscutendo il ruolo dell’artista.

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In Uganda è il lavoro principale presentato al MAN. La videoproiezione è frutto di un reportage, realizzato ad inizio 2021, che si muove su un doppio livello: da un lato descrive la vita all’interno del Children’s Surgical Hospital della città ugandese di Entebbe, puntando l’obiettivo sullo staff di EMERGENCY e sui pazienti; dall’altra, mostra la bellezza umana e paesaggistica di Entebbe, la penisola che si allunga sulla costa settentrionale del Lago Vittoria, su cui sorge l’ospedale. Man mano che le immagini scorrono in dissolvenza, ci si accorge che parlare di reportage è piuttosto riduttivo. Nelle opere di Grimaldi l’aspetto documentativo resta in secondo piano rispetto alla componente affettiva, che risulta dominante. In questo modo, i suoi lavori tracciano un filo rosso tra due mondi: a un’estremità c’è il museo in cui le opere vengono fruite, mentre all’altro capo si trova una realtà che a molti può apparire distante, ma non per questo è meno vera.

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Immagini di progetti portati avanti in Sudan, Sierra Leone, Afghanistan, nella Repubblica Centrafricana, si susseguono in mostra sugli schermi di iPad Pro di ultima generazione con una dissolvenza (appunto un “fade in”), da cui deriva il titolo della mostra. Come rileva il critico Luca Cerizza “la melanconia che pervade senza tregua il lavoro di Grimaldi nasce da quella dicotomia che l’artista mostra come mai riconciliata, tra dimensione etica ed estetica dell’arte e, ancora più specificatamente nel suo caso, di un’attrazione sensuale verso un mondo di forme e immagini perfette, iper-definite, per lo più astratte, e la consapevolezza che ogni opera d’arte, rischi di essere schiacciata da un processo di obsolescenza per il quale viene superata – come ogni altro prodotto – da una successiva proposta linguistica, da un nuovo stile, dal soddisfacimento, insomma, di un nuovo desiderio”.

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L’utilizzo sistematico degli ultimi modelli Apple su cui scorre una sequenza in loop è una prassi consolidata della poetica di Grimaldi. In questo modo, venendo meno la possibilità (autoimposta) di decidere l’apparenza esteriore delle opere, è l’artista in prima persona a mettere in discussione il proprio status, allineandosi all’evoluzione tecnologica e alle sue contraddizioni. Crolla, così, l’assunto dell’arte per l’eternità. Il risultato è un lavoro dal destino ineluttabile, opere che diventano obsolete nel giro di pochi anni, asservite a una corsa per un progresso tecnico sempre più incalzante.