Fase 2, imprese: lo Stato non esiste.

Fase 2, la fase della ripresa ovvero dell’Araba fenice. Una fase che al posto di riportare fiducia nel sistema Italia, sta crollando visibilmente sotto i colpi dei principali vizi della politica quando si parla di impresa, ovvero incompetenza e irriverenza verso il timing del mondo produttivo.

Un nuovo triste paradigma questa “retorica della fase della ripresa” che sta riuscendo nella difficile missione di superare, con uno slancio atletico senza precedenti, i trascorsi livelli di assurdità che ci hanno accompagnato in tutta la durata della fase uno, ricordandoci, in queste prime 72 ore di ‘rinascita’, che viviamo e che continueremo a vivere in un sistema farisaico.

Mentre Luca, parrucchiere, si domanda come farà a trovare 200 euro per ottenere un DVR biologico da un ingegnere per poter riaprire l’attività, il Governo Conte, nella nuova bozza di decreto, introduce il bonus da 200 euro per l’acquisto di biciclette e monopattini elettrici. 

Piccoli dettagli in una narrazione di Stato votata al bipolarismo, come nel caso dei grossisti che possono riaprire le attività ma che non possono vendere ai dettaglianti perchè chiusi fino al 18 maggio. 

Un ‘racconto nazionale’ poco appassionante dove il rispetto per le scadenze è unidirezionale o ipodermico, come lo descriverebbero gli studiosi di comunicazione. Il caso del bonus autonomi dell’Inps è un paragrafo poco edificante in questo racconto, se pensiamo che entro il 30 aprile avrebbe dovuto essere erogato a tutti gli aventi diritto (per il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, durante l’audizione in commissione Lavoro alla Camera). Tra le ‘vittime’ dei ritardi, manco a dirlo, numerosi imprenditori, i principali contribuenti del sistema della protezione sociale pubblica, gli eroi senza i quali il gettito fiscale sarebbe soltanto una ipotesi teorica.

Una ‘miseria di Stato’, quindi, inadeguata per le imprese e per di più non erogata con tempestività. Una dinamica irritante se si guarda alla sollecitudine degli stessi uffici INPS per il pagamento dei contributi previdenziali entro i termini. Conosciamo tutti le sanzioni applicate per l’inadempimento dell’obbligo contributivo?

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Anche nel Consiglio Regionale della Regione Sardegna la serietà verso le imprese è una merce rara, forse troppo estranea per essere al centro dell’agenda politica, in un Consiglio formato da gruppi partitici interessati più alla pesca sportiva (Lega, PD, Leu)  ai cori sardi (PD) alle disquisizioni sull’insularità (Riformatori Sardi) che alle esigenze delle imprese in un contesto di emergenza.

Ma non bisogna puntare il dito sull’incompetenza in materia dei molti rappresentanti del Consiglio. Giustamente sono stati eletti democraticamente dal popolo sovrano. Quello stesso popolo cresciuto, talvolta, con lo stereotipo (o ambizione) del posto fisso e che ignora, in larga parte, i sacrifici degli imprenditori, la complessità della gestione aziendale e, in generale, le logiche d’impresa. Quello stesso popolo che ha attribuito il proprio mandato rappresentativo a ‘onorevoli solo di fatto’ prima di conoscere le loro dichiarazioni dei redditi (per molti vicine allo zero) e i loro Curriculum vitae, alcuni addirittura allegati alle schede personali non in formato Europass (a prova di colloquio di lavoro). Davvero un signor/a ‘nessuno’ incapace di creare reddito per sè e per gli altri può ricevere l’illuminazione divina per la risoluzione di problemi complessi provenienti dal mondo delle imprese?

Nel merito dei pochi passi in avanti mossi sul fronte delle imprese in Consiglio regionale, al momento il gruppo PD ha proposto un provvedimento per un contributo a fondo perduto per le aziende sarde, che però è ancora in sospeso e da discutere. Problema di risorse o di opportunità politica? La prima ipotesi è la più gettonata, come emerso dall’intervento dell’assessore alla Programmazione, Giuseppe Fasolino, durante l’illustrazione dell’accordo Regione Sardegna-Banca Europea degli Investimenti, che non prevederà contributi a fondo perduto per le aziende sarde ma prestiti, con l’esclusione delle aziende con procedure giudiziali.

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“La Sardegna, come regione a statuto speciale, ha un bilancio fondato, per l’80%, sulle entrate erariali. Dalle nostre stime, vista la riduzione del gettito determinata dall’emergenza Covid-19, alle casse regionali mancheranno tra i 600 e i 700 milioni di euro. Un buco che mette a rischio anche i servizi essenziali garantiti dalla Regione. Per questo occorre rivedere il fondo messo a disposizione dal Governo alle Regioni che stanzia solo 1,5 miliardi di euro per l’emergenza Covid. A noi toccherebbero 150 milioni, cifra evidentemente insufficiente”.

Insomma una notizia che fa ben sperare, specialmente quando gli imprenditori nelle proprie pagine social confermano vita, morte e miracoli sulla negazione di un prestito bancario garantito dallo Stato al 100%. Ovviamente non è colpa delle banche, poichè da istituti privati devono rendere conto ai loro azionisti e non allo Stato. Piuttosto sorprende la decisione dello Stato di coinvolgere il sistema bancario nell’intermediazione con le imprese, invece di liquidare il prestito “garantito dallo Stato” direttamente alle aziende. Si potrebbe dire che viviamo nel Paese dell’assurdo ma siamo ormai troppo avezzi al ‘bipolarismo di Stato’ per indignarci.

Paradossali, riflettendo su alcune propensioni sovraniste di alcuni partiti e degli epigoni che rappresentano tali idee nelle varie istituzioni del Paese, le richieste all’Unione Europea su prestiti a fondo perduto e senza condizionalità, mentre a livello nazionale gli stessi partiti propongono soluzioni che prevedono prestiti con condizionalità e senza alcun contributo a fondo perduto. Un comportamento da far impallidire anche il più spregevole crumiro di un romanzo di Charles Dickens.

C’è poi il racconto giallo in questo appassionante ‘romanzo nazionale’, ‘Quer pasticciaccio brutto della cassa integrazione in deroga in Sardegna’, che tra i suoi autori non vede di certo Carlo Emilio Gadda ma l’assessore al Lavoro, Alessandra Zedda, la Sottosegretaria al Mise, Alessandra Todde e l’INPS. Un racconto misterioso, dove, anche in presenza di dati comunicati con cadenza quasi quotidiana dalla Sottosegretaria del MiSE, non è dato sapere quando saranno erogate le domande.

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Dovrebbe allora sorprendere che in Italia sono state chiuse oltre 3 milioni di Partite Iva negli ultimi 3 anni, riducendo il numero dei possessori di Partite Iva da 8 milioni a 5 milioni?

Dovrebbe essere appassionante (in un Paese con una tassazione superiore al 60% più l’IVA al 22%, ed in più l’assurdo anticipo obbligatorio per l’anno successivo) credere nel sogno dell’imprenditoria? 

E’ così difficile avvertire un senso di stoltezza nell’idea di proseguire nell’attività d’impresa in un Paese dove chiudono per insolvenza 53 imprese ogni giorno lavorativo e dove i big players della politica sono orientati alla ricerca del consenso piuttosto che alla risoluzione dei problemi, guardando al merito delle questioni?

Questa fase 2, per essere tale, avrà bisogno di paladini e gli unici eroi presenti in questo torbido quadro nazionale sono solo gli imprenditori. Una categoria perennemente dimenticata, continuamente bistrattata, stigmatizzata da una certa retorica politica di maniera e da una embrionale ignoranza imprenditoriale dell’italiano medio.

A loro il Paese deve dare il supporto necessario. Solo in questo modo sarà possibile una fase 3 per le imprese che, tra mille problemi, contribuiscono come nessuno al mantenimento della coesione sociale, alla dinamicità del mondo del lavoro, all’innovazione dei servizi alla persona e alle imprese stesse, ricordandoci ogni giorno che c’è più onore nel fare che nel fingere di fare. 

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