Buon compleanno all’associazione Arcoiris! Intervista alle fondatrici Arlen Aquino e Ghidey Sebhat.

Diciotto lunghi anni fa, quando alle medie mi dilettavo nella disciplina nazionale di fumata nel cesso (record indoor 2 min. 30 sec.), quando i miei sogni infranti si limitavano alla sconfitta del non poter uscire con Paola Iezzi, quando per integralismo religioso si intendeva quello della Delta Martini e l’unica lega al sud era quella dei cerchioni, quando Fusaro  faceva la file nella segreteria studenti di filosofia, e i progetti geopolitici di Salvini partivano da Trieste in su, qualcosa nella ridente cittadina di Quartu si muoveva. Due donne, Arlen Aquino e Ghidey  Sebhat,  provenienti rispettivamente dal Venezuela e dall’Africa, dopo 10 anni passati ad integrarsi mirabilmente nel tessuto sociale, sono giunte nel lontano 2001 alla conclusione che chi sarebbe arrivato dopo loro avrebbe meritato aiuti più mirati, maggiore comprensione, rispetto e perché no, anche svago.

Eppure è strano, perché in un paese che si professa da sempre cattolico l’accoglienza dovrebbe scattare automatica, ma evidentemente si tratta di adesione puramente formale, o forse di malcelata  scaramanzia.  Sono secoli che i rituali impongono di omaggiare il santo in processione ,il  Papa, la madonna e tutto l’ordine sacerdotale, ma dall’istmo che separa la testa dal braccio teso che saluta, si sbircia con sospetto il “negretto” che si aggira con fare ambiguo vicino alla nostra auto. E’ bella  la diversità solo quando è folkloristica e scanzonata, ma deve durare poco e stare a debita distanza. La cultura per molti  dovrebbe assomigliare ad un rassicurante  carnevale di Rio, poiché è tedioso  farsi carico di  storie tristi o cercare di comprendere. L’euristica maliziosamente consiglia di odiare per comodità e perché è liberatorio. La comunione di intenti genera fratellanza ma forse il problema sono proprio gli intenti.

Chi sta bene, chi ha il fondoschiena al sicuro, fatica a riconoscersi nelle battaglie di chi è meno fortunato, mentre l’individualismo danza sfrenato. Ma allora chi sono realmente gli emarginati?  Se fossi un sociologo affermerei: Tutto ciò che sta in periferia. Invece  è più cauto rispondere noi, tutti noi siamo il diverso per qualcuno. Potremo un giorno riscoprirci troppo bassi in una classe di alti, troppo scuri in un paese  di bianchi, troppo omosessuali nel quartiere in cui viviamo.  Arlen e Ghidey sperimentarono anzitempo che la diversità era si  tollerata, ma non capita.   Il metro di valutazione era la sola vista. Vita speranze e illusioni erano archiviate con giudizi sintetici, un po’ come dire che la Gioconda è una tizia che sorride. Entrambe sono da sempre convinte  che per spegnere il generatore d’odio e di pregiudizi sia necessaria la mescolanza, l’unione tra persone di aspetto e culture diverse. “Così si evitano i conflitti futuri” ci dice Arlen,  ma soprattutto l’accesso alla conoscenza permette il riscatto. 

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In un mondo dove il preconcetto può perseguitare chiunque, ci sono luoghi del cuore dove la fiducia  non è mai morta.  Posti nati per regalare affetto e possibilità  senza chiedere niente in cambio, dare aiuto con la speranza di vedere un viso in lacrime un giorno diventare sorridente. Tutto questo ha un nome, è localizzabile. Si chiama Arcoiris Onlus,  si trova a Quartu in via Genova. La sua breve storia ce la raccontano due donne straordinarie di cui narravo precedentemente . Entrambe madri, lavoratrici, filantrope , sposate con uomini italiani ma soprattutto a loro modo, pioniere.

Quando è stata fondata l’Arcoiris?

Arlen: Nei primi mesi del 2001. Agli inizi eravamo 11 socie, tutte appartenenti a diverse nazionalità e tutte donne.

 Cosa vi ha spinto a creare l’associazione?

Ghidey: Bisogna tornare molto tempo indietro. Prima dei fatti ci sono le idee. Io arrivai qua nel lontano 1989 e gli inizi non furono felicissimi. Qualche anno dopo ho conosciuto Arlen ad un corso per donne immigrate. Benchè sia io che Arlen fossimo inserite socialmente non avevamo nessun genere di orientamento.

Com’era vivere cosi?

Ghidey: Eravamo sposate, e già questa era una fortuna, sapevamo parlare anche un po’ l’italiano. Avevo una famiglia che mi amava e mi ama , ma continuavo ad avere una sensazione di disagio perché avevo la sensazione che niente mi legasse e non c’erano altre donne straniere con le quali legare. Ecco che è iniziata a balenare in mente l’idea di creare un’associazione.

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Il progetto era rivolto a sole donne?

Arlen: No, era rivolto anche ad immigrati. La speranza era quella di condividere esperienze, informazioni, aiutarci e farci compagnìa. In pratica unire le forze.

Quante persone accoglie oggi l’Arcoiris?

Arlen: Tra soci, collaboratori e richiedenti aiuto siamo in tutto 206. Il 70 per cento come sottoscrive il nostro statuto deve essere formato da  donne  straniere.

Quali sono le attività più importanti?

Ghidey: Posso solo dire che una volta nata l’associazione ci siamo occupate solo di donne. Mi colpì tanti anni fa, appena arrivata a Quartu la storia di una bambina senegalese che aveva grosse difficoltà ad essere accettata a scuola. Provai ad aiutarla coi compiti, ma fu tutto inutile. La bambina venne rispedita in Senegal dal padre. Fu una sconfitta, ma grazie anche a quella storia decisi di combattere.

Arlen: Abbiamo cercato negli anni di occuparci del doposcuola, di aiutare le giovani madri nel trovare un medico, per esempio per quanto riguarda i vaccini. Spesso eravamo noi ad accompagnarle negli ambulatori. Insomma eravamo e siamo una sorta di sportello di orientamento.

Siete riusciti a coinvolgere nei vostri progetti anche ragazzi italiani?

Ghidey: Agli inizi eravamo solo stranieri. Tutto andava bene, ma stavamo diventando un ghetto, mancavano gli italiani, ingrediente necessario per una vera integrazione.

Come avete fatto ?

Arlen: Alcuni ragazzi sono entrati qua grazie ad un laboratorio di scrittura creativa, altri tramite i corsi di teatro o durante il  doposcuola. Si sono integrati benissimo. Ci siamo rese conto che ci sono molti giovani sardi emarginati, e non di certo per la lingua.

Ghidey: Non di rado ho collaborato con le scuole primarie e posso dirti che la cosa che manca di più è l’interazione. Spesso mi viene detto che gli immigrati rubano il lavoro.

E tu cosa rispondi?

Ghidey: Mi verrebbe da ribadire che versiamo annualmente più di 10 miliardi di euro all’Inps, ma sarebbe inutile. La maggior parte delle volte scopro che sono frasi che i piccoli sentono in famiglia e che ripetono senza conoscerne il significato.  Cerco di spiegare che qua in Europa ci si è dimenticati quanto sia importante la democrazia e di quanto siano atroci le guerre. Chi scappa lo fa per cercare posti migliori, senza la fame e la repressione. Del resto l’immigrazione è secolare.

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Arlen: Io vengo da Caracas, conosco bene tutto il Sud America e posso dirti che in ogni località si può trovare almeno un italiano. Nessuno però ha pregiudizi, perché l’America latina è un miscuglio di culture e colori.

Tra i vostri ragazzi, ogni tanto cresce qualche talento sportivo. E’ il caso di Dalia Kaddari, campionessa d’atletica. Parlateci un po’ di lei.

Ghidey: Dalia è una ragazza che fin da bambina ha sofferto tanto, fortunatamente ha troovato il suo riscatto grazie all’atletica e lo studio. Noi l’abbiamo accolta e amata, sostenuta in ogni sua attività.

Arlen: Da sempre concediamo i Voucher tematici ai giovani che li richiedono. Per esempio i voucher sportivi consentono ai giovani immigrati di poter fare sport. Dalia ne ha usufruito e tutto il resto è storia. E’ una bellissima testimonianza.

Quanto è stata decisiva la figura del Dr Pusceddu nella realizzazione dei vostri obiettivi?

Ghidey: Ci conoscemmo ad un corso tanti anni fa. Lui era il direttore e io non lo sapevo. A Quartu era assessore ai servizi sociali. Si accorse delle nostre problematiche e ci offrì le consulenze e l’aiuto per creare l’associazione.

Arlen: E’ stato il primo a credere in noi.

Come vi vedete nel futuro?

Arlen: Abbiamo lasciato un segno, e penso che continueremo ad andare avanti con lo stesso entusiasmo. Contiamo un grande numero di volontari, gran parte docenti in pensione, e ora le nostre porte sono aperte anche per i tirocini universitari. Non si può che migliorare.

Ghidey: Continueremo a dare una mano a chi ne ha bisogno.  Giorno dopo giorno avremo cura della nostra creatura, e sappiamo che i semi che abbiamo piantato un giorno cresceranno bene.

Davide Atzori 

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